Nel Medioevo, periodo ricco di racconti demoniaci e di magie, si dà molta importanza al periodo compreso tra il Natale e il 6 gennaio, un periodo di dodici notti dove la notte dell'Epifania è anche chiamata la "Dodicesima notte".
È un periodo molto delicato e critico per il calendario popolare, è il periodo che viene subito dopo la seminagione; è un periodo, quindi, pieno di speranze e di aspettative per il raccolto futuro, da cui dipende la sopravvivenza nel nuovo anno.
Ancora oggi un po' ovunque per l'Italia il 6 gennaio si accendono i falò, e, come una vera strega, anche la Befana viene volta bruciata.
Nel Veneto invece vi è la tradizione del Panevìn, una grande pira di legno che ha sulla sommità il fantoccio della Vecia.
Questo gesto è una specie di augurio per l'anno nuovo: la befana infatti rappresenta l'anno vecchio e per questo la si brucia sperando che quello nuovo sia migliore di quello passato. Nell'immaginario popolare, si diceva che la distruzione della vecchia rappresentava la fine di tutti i mali.
Si accendevano grandi fuochi, appiccati dai bambini più piccoli del paese, e tutti prendevano a danzare attorno al falò intonando un canto, “brusa la veda” (= la strega, la befana). Una volta appiccato il fuoco, mentre si mangia la pinza (dolce di fichi secchi e zucca) e si bevono ettolitri di vin brulé, guardando la direzione del fumo e delle faville si traggono “pronosteghi” per il raccolto futuro.
Se le faìve va al garbin
parécia el caro pa ‘ndare al mulin.
Se le faìve va a matina,
tol su el saco e va a farina.
Se le faìve va a sera,
la poenta impiega la caliera.
Se le faville vanno a sud-ovest
prendi il carro e vai al mulino (il grano sarà abbondantissimo)
Se le faville vanno a est
prendi il sacco e vai a elemosinare
Se le faville vanno a ovest
la pentola sarà sempre piena di polenta
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