Lungo questa strettoia, sulla sinistra della strada è situato il covolo delle Guane, fonte di fantasiosi racconti del passato (Mecenero, 1984). Dal covolo le streghe chiamavano durante la notte i carrettieri di passaggio:
- Oh, dal caval bianco .... (ehi tu con il cavallo bianco)
- Oh, dal caval griso ... (ehi tu con il cavallo grigio)
Una di queste ha seguito fino ai Lovati un carettiere, di nome Fusaretto, e si è fatta sua sposa per qualche tempo, scomparendo nel covolo protetto dopo aver sentito del richiamo della madre morente:
- Disìghe che so mare sta mal de morte! (ditele che sua madre è in punto di morte)
Così la diffusa leggenda associata alle cavità abitate dalle anguane e forse anche a certe unioni frettolose con donne "foreste" che dovevano risultare temibili concorrenti per le chiuse contadine della vallata.
Tutta Campodalbero per recarsi a valle doveva passare davanti a quel Covolo e tutta la zona circostante aveva fama di esser popolata di innumerevoli streghe, orchi e spiriti vaganti tanto da riempire ed animare di personaggi fantastici gli interminabili filò invernali.
Quelli dei Làngari è la contrada più meridionale di Campodalbero, proprio di fronte al Covolo delle Guandane, ed erano i Langaresi che verso sera fantasticavano sulle ombre che vedevano muoversi spedite tra i sengi, al di là della valle. Si racconta che qualcuno, contro l'opinione comune, aveva messo in dubbio che ci fossero le streghe nella zona e per dimostrarlo una sera si era messo dalla contrada a beffeggiarle:
- Eh, Piffe Poaffe, porténe la vostra caccia! (portateci la vostra cacciagione)
Il mattino dopo una coscia di donna pendeva sulla porta di una casa. Nessuno osava toccare quel macabro trofeo che aveva seminato sgomento e terrore fra gli abitanti della contrada così che all'imbrunire lo sfidante riprese la trattativa:
- Eh, Piffe Poaffe, tolìve la vostra caccia! (riprendetevi la vostracacciagione)
Durante la notte la coscia sparì e più nessuno osò sfidare le streghe che nascoste nel covolo continuarono a tenere in soggezione l'intero paese
Una variante della stessa storia racconta che le rocce tra i Lovatini e il Màjo erano il regno incotrastato delle anguane e delle strie. Lì nei prati oltre le case "le slargava la lìssia" (stendevano il bucato) davanti ai numerosi antri che ancora si vedono e dove alloggiavano stabilmente. Se ne potevano vedere facilmente di sera fino verso il Majo dove sull'opposta sponda sopra la strada è collocato il più noto "buso" dell'Alta Valle del Chiampo: il Covòlo delle Guandane.
- Oh, dal caval bianco .... (ehi tu con il cavallo bianco)
- Oh, dal caval griso ... (ehi tu con il cavallo grigio)
Una di queste ha seguito fino ai Lovati un carettiere, di nome Fusaretto, e si è fatta sua sposa per qualche tempo, scomparendo nel covolo protetto dopo aver sentito del richiamo della madre morente:
- Disìghe che so mare sta mal de morte! (ditele che sua madre è in punto di morte)
Così la diffusa leggenda associata alle cavità abitate dalle anguane e forse anche a certe unioni frettolose con donne "foreste" che dovevano risultare temibili concorrenti per le chiuse contadine della vallata.
Tutta Campodalbero per recarsi a valle doveva passare davanti a quel Covolo e tutta la zona circostante aveva fama di esser popolata di innumerevoli streghe, orchi e spiriti vaganti tanto da riempire ed animare di personaggi fantastici gli interminabili filò invernali.
Quelli dei Làngari è la contrada più meridionale di Campodalbero, proprio di fronte al Covolo delle Guandane, ed erano i Langaresi che verso sera fantasticavano sulle ombre che vedevano muoversi spedite tra i sengi, al di là della valle. Si racconta che qualcuno, contro l'opinione comune, aveva messo in dubbio che ci fossero le streghe nella zona e per dimostrarlo una sera si era messo dalla contrada a beffeggiarle:
- Eh, Piffe Poaffe, porténe la vostra caccia! (portateci la vostra cacciagione)
Il mattino dopo una coscia di donna pendeva sulla porta di una casa. Nessuno osava toccare quel macabro trofeo che aveva seminato sgomento e terrore fra gli abitanti della contrada così che all'imbrunire lo sfidante riprese la trattativa:
- Eh, Piffe Poaffe, tolìve la vostra caccia! (riprendetevi la vostracacciagione)
Durante la notte la coscia sparì e più nessuno osò sfidare le streghe che nascoste nel covolo continuarono a tenere in soggezione l'intero paese
Una variante della stessa storia racconta che le rocce tra i Lovatini e il Màjo erano il regno incotrastato delle anguane e delle strie. Lì nei prati oltre le case "le slargava la lìssia" (stendevano il bucato) davanti ai numerosi antri che ancora si vedono e dove alloggiavano stabilmente. Se ne potevano vedere facilmente di sera fino verso il Majo dove sull'opposta sponda sopra la strada è collocato il più noto "buso" dell'Alta Valle del Chiampo: il Covòlo delle Guandane.
una fontana costruita dai valligiani di Durlo molti secoli fà. Ha dell’arcano, ancor’oggi si racconta che quì venivano le Anguane nelle notti di luna piena, (un’antichissima leggenda Cimbra) |
Si raccontava nei filò della brutta esperienza avuta da un abitante dei Lovatini con le "done dei sìngi". Quest'ultimo una domenica sera era tornato da Durlo per l'impervio sentiero dei Micheletti; era tardi e sapeva che, dopo l'Ave Maria, erano padrone le anguane, ma quella sera il coraggio non gli mancava: glielo aveva dato, durante una partita a spaventin (briscola), il generoso durello del Moro di Durlo alla Ca' del Vento. Così arrivato sano e salvo a casa aveva gridato per sfida: "Fava, fava, pòrteme la to' cacia!". (portami la tua cacciagione)
Al mattino appeso alla lamina di ferro che tiene chiuso l'uscio aveva trovato una bella coscia di donna. "Eh no, no' magno mìa 'sta roba qua, mi" (io non mangio questa roba) aveva detto ad alta voce ma quella roba era lì e non sapeva come farla sparire. Come un tempo costumavano un po' tutti era andato allora a confidarsi con il prete di Durlo. "E ti dighe da nòvo la frase, a la so ora, e che la vegna a tòrselo, sto coss... sto còsso!" (e tu dille di nuovo la frase alla sua ora, e che venga a prendersi questa coscia) (il termine gli pareva poco pulito).
Convinto sul da farsi alla solita ora il montanaro aveva nuovamente chiamato la strega: "Fava, fava, vien torte la to cacia!" (vieni a riprenderti la tua cacciagione) Al mattino non c'era più nulla ma un'incontrollabile paura era penetrata nell'uomo che da allora non è stato più lui.
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