Giorgio Ruggero Celli (Verona, 16 luglio 1935 – Bologna, 11 giugno 2011) è uno dei più noti etologi e divulgatori scientifici italiani. Ha insegnato entomologia all'Università di Bologna, coordinato un gruppo di ricerca sulle alternative ai pesticidi in agricoltura e sull'ape come indicatore dell'inquinamento ambientale. E' stato membro del Comitato tecnico scientifico del Parco del Delta del Po e responsabile del Progetto zanzare promosso dalla Regione Emilia Romagna e dai comuni della costa adriatica. Accanto al lavoro scientifico ha coltivato una parallela attività letteraria, interessandosi di teatro, arte e poesia.
Celli è sempre stato un grande osservatore della natura e di tutte le forme di vita che si trovano nel giardino di casa, questa passione lo porta a diventare entomologo e studiare a fondo le api nonostante lui fosse allergico alle loro punture, in un suo volume racconta come durante i suoi studi egli se ne andasse tra le api vestito come un astronauta per timore dei loro pungiglioni per lui letali. Dall'entomologia all'ecologia il passo è breve per una mente attiva come la sua, Come ecologo ha dedicato il suo interesse sull'ecologia degli agroecostistemi, interessandosi ai metodi di contenimento biologico delle popolazioni di insetti nocivi. In questo contesto ha creato un centro, unico in Italia, nella quale vengono prodotti insetti utili alla lotta biologica ai fitofagi, e due centri di ecologia applicata che si occupano del controllo delle popolazioni di zanzare nelle zone umide e paludose. Tutto questo era il suo "lavoro" , una passione che si trasforma in pane quotidiano, però Celli da sempre ha dedicato attenzione e osservazioni pseudo-scientifiche nei confronti di tutto quello che lo circondava e, sulle orme di Konrad Lorenz, ha scritto decine di saggi autodefinendosi 'etologo dilettante' raccontando attimi di vita e riflessioni personali accompagnate da cenni scientifici alla portata di tutti i lettori.
Fondamentale per tutta la sua attività di etologo dilettante fu però un fatto avvenuto in gioventù . . .
Nel 1943 Giorgio Celli aveva 7 anni e con la sua famiglia viveva da sfollato in un paesino sugli Appennini abbandonando la casa di città per paura dei bombardamenti. Fu in quegli anni che Celli cominciò a scoprire la natura in ogni sua sfaccettatura, dalle bisce appese ai rami degli alberi alle lucciole che brillavano timide nelle notti scure. Fu in quel periodo che la loro gatta di casa, Giuditta, rimase incinta e partorì quattro gattini. I cuccioli nacquero di notte e Celli e la madre presenziarono all'evento, come se tanta dolcezza e amore potessero in qualche modo comopensare gli orrori della guerra che imperversava tutto intorno.
Giorni dopo la madre di Celli lo mandò da una vicina per chiedere un uovo e del latte per la gatta, Celli entrò nella casa senza bussare e, nella cucina, vide la padrona di casa con il seno fuori dalla camicia che allattava il suo bambino. All'imbarazzo di Celli la vicina lo rassicurò dicendogli che erano cose naturali e che non c'era da averne paura o di che vergognarsi.
Tornato a casa Celli osservò con occhi nuovi la gatta Giuditta che allattava i suoi cuccioli esattamente come la signora della porta accanto faceva con il suo bambino, esseri viventi tanto diversi uniti nello stesso gesto per crescere e proteggere la prole.
Fu così grazie a Giuditta che Giorgio Celli scoprì cosa fossero i mammiferi e questa fu la sua iniziazione alla scoperta del mondo degli animali, non a caso uno dei suoi saggi si intitola 'Sono un gatto anch'io' in memoria della gatta Giuditta, dove con occhio sornione e attento come un gatto che finge di dormire ci allieta con aneddoti su vari animali e, immancabile, il suo gatto Tachione.
Nel 1943 Giorgio Celli aveva 7 anni e con la sua famiglia viveva da sfollato in un paesino sugli Appennini abbandonando la casa di città per paura dei bombardamenti. Fu in quegli anni che Celli cominciò a scoprire la natura in ogni sua sfaccettatura, dalle bisce appese ai rami degli alberi alle lucciole che brillavano timide nelle notti scure. Fu in quel periodo che la loro gatta di casa, Giuditta, rimase incinta e partorì quattro gattini. I cuccioli nacquero di notte e Celli e la madre presenziarono all'evento, come se tanta dolcezza e amore potessero in qualche modo comopensare gli orrori della guerra che imperversava tutto intorno.
Giorni dopo la madre di Celli lo mandò da una vicina per chiedere un uovo e del latte per la gatta, Celli entrò nella casa senza bussare e, nella cucina, vide la padrona di casa con il seno fuori dalla camicia che allattava il suo bambino. All'imbarazzo di Celli la vicina lo rassicurò dicendogli che erano cose naturali e che non c'era da averne paura o di che vergognarsi.
Tornato a casa Celli osservò con occhi nuovi la gatta Giuditta che allattava i suoi cuccioli esattamente come la signora della porta accanto faceva con il suo bambino, esseri viventi tanto diversi uniti nello stesso gesto per crescere e proteggere la prole.
Fu così grazie a Giuditta che Giorgio Celli scoprì cosa fossero i mammiferi e questa fu la sua iniziazione alla scoperta del mondo degli animali, non a caso uno dei suoi saggi si intitola 'Sono un gatto anch'io' in memoria della gatta Giuditta, dove con occhio sornione e attento come un gatto che finge di dormire ci allieta con aneddoti su vari animali e, immancabile, il suo gatto Tachione.
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