L'eremita dello Sciliar
Verso la fine del XV secolo bussò un giorno alla porta della rocca di Castelvecchio un pellegrino che chiese di conferire con il castellano. I due conversarono a lungo, uscendo poi dal castello si diressero a una caverna inaccessibile ai piedi dello Sciliar, conosciuta col nome di Grotta di Chiusa.
Lì, vicino a una vecchia cappella, lo straniero eresse un eremo e iniziò a condurre vita solitaria in perfetta armonia con il popolo dei nani, e gli animali.
Molti erano i segreti della natura che aveva imparato lassù e ogni tanto, quando c’era bisogno, si recava a valle per guarire con erbe e piante un malato grave o salvare la gente dalla peste.
La fama e saggezza dell’eremita si diffuse rapidamente in tutta l’Europa e un dì giunse alla sua dimora una lucente schiera di cavalieri con alla testa l’imperatore Max in persona.
Max lo pregò di tornare alle gioie quotidiane presso la sua corte perché erano tempi difficili e abbisognava dei suoi consigli; ma lui si rifiutò e non c’era modo di convincerlo ad abbandonare quel luogo solitario. In fine l’imperatore dovette rassegnarsi alle decisioni dell’eremita; così fece ritorno pieno di tristezza alla sua reggia nella lontana città di Wels.
Molti anni passarono da quell’incontro, quando i nani fecero visita a re Max portandogli la notizia che il vecchio saggio era morto. Il dispiacere fu tale che anche l’imperatore, poco dopo, esalò l’ultimo respiro.
L’eremo rimase per molto tempo abbandonato e solo il vento della sera suonava le campanelle della cappella portando il suono ai paesi vicini. Ma era destino che la quiete non durasse a lungo, poiché venne un’esercito di guerrieri selvaggi che saccheggiò la zona e distrusse anche la grotta con il tempietto.
Appena fu tornata la pace i nani si recarono alla caverna, presero le campanelle d’argento e le portarono sulla cima dello Sciliar dove, ancora oggi si odono annunciare grandi avvenimenti o prossime disgrazie..
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