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mercoledì 21 marzo 2012

Le streghe della Valcamonica

La Valle Camonica, santuario della preistoria, con centinaia di migliaia di incisioni rupestri, aveva già una solida tradizione spirituale quando gli evangelizzatori giunsero tra le sue montagne, che custodivano da millenni un Pantheon di divinità legate all’adorazione del sole, alla caccia, al culto dell'acqua; aveva fatto proprio il dio celtico Cernunnos, dalla testa di cervo, mirabile incisione del Parco delle Naquane a Capo di Ponte, ed anche le divinità romane erano state sovrapposte a quelle locali.
 
La fonte più ricca sulla caccia alle streghe in Valle Camonica sono i Diarii del veneziano Marin Senudo, che riporta vicende accadute tra il 1496 ed il 1536. Alla fine del XV secolo si parla dell’esistenza di una setta diabolica ad Edolo, dove nel 1510 fu innalzato uno dei primi roghi di streghe, accusate di aver arrecato siccità con i loro incantamenti. In Valle, nel solo mese di luglio del 1518, furono arsi vivi sessanta donne e venti uomini, i beni incamerati nei benefici ecclesiastici. Ancora nel 1690, una donna, accusata di stregoneria, muore in prigione a Breno
Tra maggio e giugno del 1518 in Valle Camonica ci fu una grande caccia alle streghe: a Pisogne, Darfo, Breno, Cemmo e Edolo furono processate tra 100 e 150 persone e i giudici dell’Inquisizione fecero eseguire 62-80 sentenze capitali (i numeri variano a seconda delle fonti) di cui due terzi su donne. I processi furono interrotti a seguito dell’intervento del Consiglio dei Dieci della Repubblica di Venezia che il 31 luglio così scriveva ai Rettori di Brescia: “(…) abbiamo appreso con piacere quanto avete fatto per eseguire i nostri ordini; ovvero che il vescovo di Brescia e i suoi collaboratori non vadano avanti nei processi contro quegli abitanti della Valle Camonica accusati di eresia (…) vi ordiniamo di informarvi sulle modalità eseguite dal vescovo, dai suoi vicari e dagli inquisitori nell’istruzione dei processi, nella raccolta delle testimonianze degli accusati; desideriamo sapere se in queste deposizioni essi sono stati condizionati nelle risposte, se è stata commessa qualche mancanza o negligenza nell’interrogare i testimoni e su come abbiano proceduto nel confiscare e dividere le loro proprietà”
A quanto sembra giudici e uomini di cultura credevano pienamente alla stregoneria demoniaca, mentre gli imputati se la vedevano imporre durante i processi. Vi erano, tuttavia, anche degli scettici. Un testimone oculare degli otto roghi di Pisogne, affermò, infatti: «A me pareno grande cosse da dire, et son tutto admirativo et fuor di me, et lo credo et non lo credo». Era, dunque fuori di sé, incerto se credere a tali racconti.

La vicenda inquietò i magistrati della Serenissima e alla fine di luglio il potente Consiglio veneziano bloccò l'azione degli inquisitori in Valcamonica, ordinando al podestà di Brescia di recarsi segretamente nella valle e di farsi consegnare dal vescovo tutti i documenti dei processi in corso e quelli già conclusi. Il podestà fu anche incaricato di avviare un'indagine «sul comportamento dei giudici della fede riguardo gli esami dei testimoni, la confisca dei beni dei condannati e il modo con cui i beni erano stati divisi e a chi erano assegnati in godimento; i vicari, inquisitori, notai e il capitano della valle, dovevano presentarsi agli stessi capi per rispondere del loro comportamento. L’intervento statale fu drastico: trattandosi di questioni concernenti la vita e i beni dei sudditi, il governo non accettò limitazioni della propria autorità, neppure se sostenute dal diritto canonico, e volle avere tutte le informazioni dirette possibili». Il Consiglio dei dieci chiese al papa che fossero rivisti i processi, fossero accertate le responsabilità dei giudici precedenti e venissero eventualmente puntiti i responsabili. Tale drastica presa di posizione dei magistrati della Serenissima legittima il sospetto che la cacciata alle streghe camune fosse una montatura dettata da ben altre ragioni.
La persecuzione delle streghe in Valcamonica fu chiusa d'autorità dal governo veneziano in modo spiccio, senza tante spiegazioni di ordine teologico o canonistico e senza aspettare, questa volta, l'approvazione della Santa Sede.

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