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martedì 13 marzo 2012

Buongiorno amici e amiche...attendendo che voi rispondiate al sondaggio sulla nuova rubrica, oggi vi racconterò una storia realmente accaduta. Essendo Ligure vi parlerò un po' di Triora denominata anche la Salem d'Italia.


Deve la sua origine al latino tria ora, ovvero tre bocche: quelle del cerbero rappresentato nello stemma. Il comune è situato nella Valle Argentina ed il suo territorio comunale è il più esteso della provincia imperiese e dista da Imperia circa 47 km. Il vecchio borgo, per quanto in parte spopolato e ancora segnato dalle distruzioni operate dai tedeschi nel 1944, conserva un notevole fascino.
A Triora è possibile visitare la Cabotina, ovvero la casa dove pare si riunivano le streghe; oggi la Cabotina è una catapecchia col tetto sfondato ed invasa dalla vegetazione. Lì le donne, nel 1500, erano solite riunirsi per curare i malati con le erbe. Per queste pratiche molte di esse furono accusate di stregoneria.

Oppure si può salire al Monte delle Forche, un posto così bello dove doveva essere spiacevole morire guardando Triora dall'alto (qui, si racconta, cresceva la mandragora dal seme degli impiccati: una pianta da cui le streghe ricavavano filtri per prolungare l'atto sessuale). 

Proprio in questo paese ebbe luogo il più grande processo per stregoneria svoltosi in Italia nel 1587.

Sul finire dell’estate del 1587 a Triora tirava una brutta aria; da circa due anni la gente non aveva più di che sfamarsi e nel giro di pochi giorni alcune donne che abitavano alla periferia del paese furono ritenute responsabili di questa presunta carestia. L’accusa? Essere streghe, o meglio bagiué, secondo il dialetto locale. 
Così, in una riunione, fu decretato di chiedere assistenza alle autorità competenti per scovare ed eliminare la fonte dei guai. Il podestà di Triora, un certo Carrega, fece quindi convocare due vicari perchè si occupassero della faccenda. 
Uno di questi, Girolamo dal Pozzo, prima di iniziare le indagini, tenne un lungo e feroce sermone in chiesa: senza mezzi termini, allertò la popolazione su tutte le pratiche e i malefici che potevano compiere le streghe sotto il dominio del maligno, alimentando oltre ogni limite il già presente scontento dei trioresi, insieme ai motivi di sospetto verso chiunque potesse accennare comportamenti “anomali” 
A quel punto iniziarono a fioccare le denunce…
Le sospette streghe, una ventina, tra cui quattro ragazze ed un fanciullo, vennero arrestate e rinchiuse per essere interrogate. Durante questi interrogatori, in perfetto stile inquisitoriale, dove si fece uso di varie torture piu’ o meno raffinate, saltarono fuori altri nomi di presunte colpevoli, alcune delle quali appartenenti a famiglie facoltose o nobili.
Questo fatto portò la gente di Triora ad innervosirsi… e a nutrire un certo timore e dubbio nei confronti della faccenda.
Due delle “colpevoli” erano tra l’altro morte: una, Isotta Stella, a causa dei patimenti della tortura, l’altra nel tentativo di sottrarvisi gettandosi da una finestra… mentre la lista delle “indagate” andava ad aumentare.
Fu così che il 13 gennaio 1588, il consiglio degli Anziani, composto dalle famiglie più importanti della zona, scrisse ed inviò una lettera di protesta al doge di Genova.
In essa denunciavano il comportamento del vicario, giudicato eccessivo, severo e sommario, in quanto tratteneva anche donne arrestate sulla base di prove assolutamente indiziarie e che non avevano confessato alcun crimine; senza contare che aveva puntato il dito verso appartenenti a famiglie (nobili e ricche) al di sopra di qualsiasi sospetto.
Il doge e il consiglio di Genova, calcolando anche l’influenza economica di chi aveva scritto la missiva, passarono il problema al vescovo di Albenga, che si mise in contatto con Girolamo dal Pozzo, il vicario accusato.
Questi, tramite il vescovo, rispose per scritto che era assolutamente estraneo alle accuse, che la donna che si era gettata dalla finestra lo aveva fatto non per paura ma bensì perchè istigata dal diavolo, e che in effetti il numero delle trattenute non ancora riconosciute colpevoli non era poi tanto alto quanto affermato.
Insomma, stava facendo solo il suo dovere.
Ad ogni modo, visto che l’uomo aveva rinunciato a perseguire le donne della nobiltà locale, e visto il cambiamento di atteggiamento, il consiglio degli Anziani si tranquillizzò, ritenendosi soddisfatto. 
Il podes Carrega, associandosi all’umore del consiglio, scrisse addirittura una lettera al governo genovese in cui difendeva l’operato dei vicari (che tra l’altro erano partiti da Triora a metà gennaio circa, lasciando in carcere tutte le imputate), assolvendoli dalle accuse di aver provocato la morte di Isotta Stella e dell’altra donna.
A febbraio però ci fu un altro scambio di lettere. La situazione stava allungandosi in maniera indecorosa, così da Triora si chiese a gran voce che il governo di Genova procedesse alla revisione dei processi, dichiarando una volta per tutte chi fosse colpevole e liberando le innocenti.
Fu allora inviato a Triora l’inquisitore Capo, che vi giunse ai primi di maggio (per le incarcerate erano passati 5 mesi dal momento dell’arresto!).
L’inquisitore interrogò tutte le detenute, e tutte tranne una negarono ogni accusa e ogni confessione fatta ai due vicari.
La decisione fu di continuare a trattenerle tutte in prigione, a parte una ragazza di 13 anni che dovette poi abiurare in chiesa nel corso di una solenne funzione.

Il problema però non era ancora risolto, e in giugno (8 giugno per le cronache) arrivò a Triora tal Giulio Scribani, un commissario straordinario designato dal governo genovese per far luce sui processi alle streghe.
Alcuni giorni più tardi, il nuovo podestà di Triora ricevette ordine dal padre inquisitore genovese di trasferire a Genova le tredici streghe per la revisione del processo.

Le donne vi giunsero il 27 giugno, mentre a Triora il commissario straordinario procedeva a nuovi arresti e nuovi interrogatori con torture, attirandosi le lamentele dei paesani come era successo la prima volta con Girolamo dal Pozzo.
Scribani dal suo arrivo non era certo rimasto con le mani in mano, intentando processi e lanciando accuse contro decine di donne, anche dei paesi vicini, come Castelfranco, Porto Maurizio, Sanremo, Montalto Ligure e Andagna. Proprio tre sorelle di questo paese, Battistina, Bianchina e Antonina Vivaldi-Scarella, confessarono, apparentemente senza ricevere pressioni, delitti infami come l’infanticidio e altro. Denunciarono inoltre una donna, Franchetta Borelli, che fu sottoposta a lungo (piu' di venti ore filate) alla tortura del cavalletto, senza mai confessare alcun crimine.
Verso la fine di Luglio, il commissario Scribani inviò a Genova i verbali delle proprie indagini, accompagnandoli con la richiesta della pena di morte per quattro donne di Andagna.
La documentazione fu esaminata dal consultore Serafino Petrozzi, che respinse tutto: mancando prove certe e inconfutabili non era possibile procedere all’esecuzione delle condanne. Tra l'altro fu anche implicitamente rimproverata a Scribani una certa inefficienza, dato che non riusciva a cavare la verità dalle accusate (come Franchetta Borelli) sotto tortura...
Comunque a quel punto il governo genovese sollecitò Scribani a dimostrare con prove tangibili le accuse da lui avanzate, e i delitti commessi dalle streghe.
Questi rispose che ciò era impossibile, essendo molti delitti avvenuti in tempi remoti o fuori della repubblica genovese. Ma per quelli di Andagna le prove c’erano ed erano sufficienti a procedere.
Nonostante questo, il processo alle quattro donne si rifece da capo, concludendosi comunque nuovamente con la condanna a morte. E nuovamente si revisionò il processo.
Vennero incaricati altri due commissari, i cui risultati produssero, oltre la conferma della condanna, la stessa applicazione per altre due streghe, Peirina Bianchi e Gentile Moro, una di Badalucco e l’altra di Castelfranco.
Il senato Genovese diede la sua approvazione, con la raccomandazione (unita ad una lettera al vecovo di Albenga) che prima dell’esecuzione le streghe si riconciliassero con la chiesa.
Ma a questo punto il Padre inquisitore di Genova ordinò la sospensione del procedimento, accusando l’autorità genovese di sconfinamento in territorio giuridico ecclesiastico: le condanne le poteva emettere solo la chiesa, dopo un proprio processo.
Il governo di Genova decise quindi di rimettersi alla decisione della chiesa e della Santa Inquisizione (e si era ormai arrivati a fine settembre!).
Quattro delle streghe, più una nuova accusata, furono mandate a Genova, gli incartamenti dei processi furono invece inviati a Roma, al Sant’Uffizio, dove rimasero senza che venisse emessa definitiva sentenza fino al maggio dell’anno successivo ( e dopo varie lettere del governo di Genova perchè si raggiungesse una conclusione).
Nel frattempo (passato più di un anno dall’inizio della vicenda!) delle prime tredici inviate da Triora alle carceri di Genova, tre erano morte (delle altre le cronache non tramandarono piu' nulla, quindi non si sa se fossero morte anche loro o rimandate al loro paese), come anche due delle ultime donne condannate a morte.
Sette donne (incluse Isotta Stella morta sotto tortura e l'altra donna gettatasi dalla finestra a Triora) erano morte, e le accuse erano ancora nel dubbio…

Il risultato finale fu l’invalidazione delle condanne da parte della chiesa, probabilmente anche (o forse più che altro) per l’ingerenza del governo genovese in faccende ecclesiastiche, a tal punto che venne aperta un’inchiesta sulla legittimita’ dell’operato del commissario Scribani, poi pienamente assolto con la condizione di pubblica ammenda alla curia di Genova.
Le ultime tre streghe rimaste nel carcere di Genova furono poi forse assolte (non si sa nulla di certo in merito) e liberate in base alle decisioni del Sant’Uffizio romano.

Per la donna triorese quell’insignificante pianta, chiamata erba della Madonna, rappresenta un vero toccasana contro ogni male, dall’insonnia al mal di pancia, dal raffreddore ai disturbi nervosi. Prelevandone una manciatina dal barattolo non fa che perpetuare una pratica atavica. Il nome volgare dell’erba, strigonella o erba stregona, è una delle numerose contraddizioni insite nella storia delle streghe di Triora.
Anche la mamma che sfrega l’aglio o pone il rametto di assenzio sul pancino del bimbo agitato per scacciare i vermi e gli spiriti maligni non fa che confermare antiche conoscenze.
Ora, almeno ufficialmente, le streghe a Triora non esistono più; rimane il ricordo di racconti fantastici, popolati di incubi ma soprattutto le lettere, i verbali di interrogatori e torture e le sentenze di condanna a morte di oltre quattrocento anni fa. 
Solo la notte del 31 ottobre, la notte del mistero, la notte in cui si fa sottile la frontiera fra il mondo terreno e quello degli spiriti potrete incontrare qualche strega. In quella notte, come tutti gli anni, Triora celebra la festa di Halloween, due giorni di festa a partire dal 30 ottobre, tra rappresentazioni di strada, sfilate, trucco per i bambini e spettacoli di strada. 

Tra lanciatori di coltelli, bare e le immancabili zucche, il tema conduttore è uno solo: l'orrore.. Per le vie strette del borgo si vedono molti strani costumi e qualche maschera più tradizionale, nelle piazze vengono accesi i soliti grandi fuochi propiziatori, intorno a cui tutti si lanciano in divertenti e chiassose danze di gruppo. 









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