Il Tubo del luppolo è arrivato, seguici su Youtube, basta un click sull'immagine!

domenica 29 marzo 2015

Non era mai accaduto.



Nel boschetto
gli alberi erano tutti innamorati
di una canna,
una cannuccia sottile,
che amava invece il vento,
il vento che porta la pioggia.
Così il boschetto l’aveva ripudiata.
La canna innamorata rispose:
“Per me, questo va bene.
Voi state pure tutti da una parte,
ché dall’altra c’è il vento della pioggia.
Così vuole il mio cuore”.
Il boschetto, offeso,
sentenziò la morte
per quell’innamorata dagli occhi di rugiada.
Chiamò il picchio dal becco forte,
e il picchio colpì nel cuore
tre, quattro, cinque volte
nel cuore della piccola canna.
Da quel giorno
la canna innamorata
divenne flauto
e da quel giorno
le ferite degli amanti
parlano con le dita del vento
e cantano,
ovunque nel mondo,
da quel giorno.

Sherko Bekas

Il nuovo giorno

Nawroz
C’era una volta in Kurdistan un re di nome Zoak che opprimeva il popolo come un vero despota. Questo re si ammalò: su ognuna delle sue spalle si levava minaccioso un serpente che voleva divorargli il cervello. Essi sibilavano senza fermarsi e cercavano di scivolare nelle orecchie del re. Non potendo più sopportare questa situazione, Zoak chiamò un medico che gli diede un consiglio terribile: per potersi liberare dai due serpenti avrebbe dovuto dar loro ogni giorno il cervello di un adolescente. Questo consiglio fu seguito e i ministri consegnavano regolarmente dei giovanetti al re. Poiché le vittime aumentavano, alcuni Kurdi decisero di ritirarsi sulle montagne per sottrarsi a questo mostro. Tra di loro c’era un fabbro di nome Kawa che aveva dato molti dei suoi figli in sacrificio. Egli aveva finalmente deciso di ribellarsi con i suoi compagni e, per dare un segnale al popolo intero, dichiarò: "Quando vedrete bruciare un fuoco su tutte le cime delle montagne del Kurdistan, potrete iniziare a ribellarvi tutti insieme." Tutto andò secondo le sue previsioni e durante la ribellione Kawa e i suoi compagni uccisero il re e i suoi ministri, mettendo così fine alla oppressione reale e chiamarono il loro primo giorno di libertà "Nawroz", il "Nuovo Giorno".

Ma Nawroz è anche la festa nazionale kurda. Apre la primavera, poiché è il 21 marzo. E’ una festa che ha prima di tutto un significato politico e le autorità lo sanno bene, dal momento che la proibiscono.

Il 21 marzo, quindi, i Kurdi si recano sulle cime delle montagne per accendere dei fuochi. Il fuoco è insieme il simbolo della vita, della primavera che si rinnova, e il simbolo della rivoluzione. Le montagne si accendono, quindi, malgrado le autorità lo vietino, perché per loro questo significa che finché ci saranno fuochi sulle cime quella notte, ci saranno dei Kurdi.
 

"Oggi è il primo giorno del nuovo anno
che torna a noi.
E’ un’antica festa kurda
e il suo ritorno ci riempie di gioia.
Ecco il sole che sorge
dalle vette dei monti.
E’ il sangue dei martiri che
si riflette nell’aurora.
Non vale la pena piangere i martiri,
perché quelli che vivono nel cuore
del loro popolo non muoiono mai.
E’ questo colore vermiglio
sulle vette dei monti
che porta la notizia ai Kurdi,
nelle vicinanze come ai confini del paese."

In questa poesia cantata compare un nuovo significato simbolico del fuoco: è il sangue kurdo versato come prezzo per l’indipendenza il cui colore non soltanto macchia l’aurora, ma scaturisce anche dai fuochi accesi nella notte.

“i curdi non hanno amici hanno le montagne
(proverbio curdo:)

I Kurdi sono un popolo di origine indoeuropea, tra i più antichi del medio Oriente. Le testimonianze storiche intorno alla loro esistenza risalgono al 2000 a.C. Senofonte fu il primo a dare un numero maggiore di notizie sui Kurdi nell'"Anabasi" (401 a.C.). I Kurdi sono discendenti dei Medi che nel VI secolo a.C. fondarono il grande omonimo Impero. Nel VII secolo d.C. iniziò l'espansione arabo-islamica. Dopo numerose guerre, i Kurdi vennero sottomessi agli Arabi e l'Islam a poco a poco divenne la loro religione. Essi contribuirono a svilupparne l'espansione e fondarono numerosi Regni autonomi come Al-Shadadi (950-1177) nel nord del Kurdistan, Al-Husnawi (950-1015) nel sud, e Al-Marwani (990-1096) ad ovest. La dinastia kurda degli Ayubidi (il cui rappresentante più famoso fu Sala-adin Al-Ayubi, detto Saladino) fondò un grande stato musulmano (1169-1250). Nel X-XV secolo il Kurdistan ha subito numerose invasioni straniere, dei Turchi Selgiucidi (1051), dei Mongoli (1231) e di Tamerlano (1402), che hanno ostacolato ulteriormente lo sviluppo economico, sociale ed urbano dei Kurdi.


Nel 1500 i Kurdi si divisero nell’appoggiare i due imperi, quello ottomano e quello persiano. Nel 1514, con la vittoria di Cialdiran degli Ottomani, la maggior parte delle tribù passò dalla loro parte e in cambio ottennero il riconoscimento di una serie di principati indipendenti alla cui testa furono messi capi discendenti dalle antiche famiglie.

Nacquero così numerosi principati e piccoli stati indipendenti con la sola condizione di pagare tributi al sultano e la fornitura di milizie in caso di guerra. Questo periodo è costellato da varie rivolte con cui le tribù kurde cercarono di trarre il massimo vantaggio politico dall’ostilità dei due imperi. Nel 1639 un trattato di pace tra questi ultimi sancisce la spartizione in zone di influenza del Kurdistan.


Fino al XIX secolo la situazione si stabilizza tra l’autorità dei due imperi e l’esistenza di piccoli stati indipendenti si realizza una zona cuscinetto senza un' armonia tra le varie tribù.

Tutto il 1800 fu costellato da rivolte dei Kurdi contro il potere del sultano, scaturite da una modernizzazione di tipo occidentale, come il servizio militare obbligatorio, il sistema dei tributi e la sostituzione dei capi ereditari con governatori turchi dell’impero ottomano che mettevano in crisi il sistema medioevale kurdo.

Le due più importanti rivolte furono quella del 1853-1856 e quella del 1880. La prima riuscì a coinvolgere tutta la popolazione kurda sotto la guida di Yazdansher. Questi, alleandosi con i cristiani, costituì un esercito di centomila uomini, ma la rivolta fu soffocata dall’intervento militare inglese. Anche la seconda coinvolse tutto il popolo kurdo e molte altre minoranze religiose ed etniche. Poté essere soffocata solo con l’alleanza dei due imperi che per l’occasione riuscirono a superare le loro ostilità.

Nei primi del novecento cambia la politica dell’Impero ottomano verso i Kurdi. Vennero riconosciuti i loro capi feudali, vennero arruolati reggimenti irregolari sotto il controllo dei capi feudali che ebbero grande importanza nel controllo dei confini caucasici dell’impero e per la repressione degli Armeni, finché nel 1908 la rivoluzione dei giovani Turchi fece nascere l’entusiasmo di tutti i movimenti nazionalistici dell’impero.

Gli anni successivi videro nascere una serie di iniziative politico culturali da parte di intellettuali di formazione europea e turca, con una marcata connotazione nazionalista, ma ben poca influenza ebbero in Kurdistan, che rimaneva tenacemente feudale. La guerra interruppe questa attività e le pubblicazioni di giornali in lingua kurda.

Con la Prima Guerra Mondiale i Kurdi si allearono con i Russi contro l’Impero ottomano e il territorio kurdo fu teatro di scontri fra Turchi russi e Inglesi che provocarono moltissime vittime tra i civili. Inoltre l’Impero per colpire le rivolte varò una legge di deportazione delle popolazioni delle provincie dell’Anatolia. L’evacuazione coinvolse 700 mila Kurdi, molti dei quali morirono durante il trasferimento. Molte vittime civili furono fatte dalla fame che colpì tutta la zona del Kurdistan, anche i territori non coinvolti dalla guerra. Si può calcolare che le vittime negli anni della guerra furono circa 600 mila.

Durante la guerra, nel 1916 già i rappresentanti di Francia, Inghilterra e Russia, ancor prima della vittoria, si erano spartite le zone di influenza. Il Kurdistan era stato diviso in tre parti: il Kurdistan meridionale tra Francia e Inghilterra e i distretti nord orientali alla Russa zarista.

Solo dopo l’armistizio sorsero nuove organizzazioni di poco peso politico, finchè, nel 1927 si unificarono nella Lega nazionale kurda Hoybu. L’idea nazionalista si rafforzò e si tentò di portarla a livello internazionale per la sua affermazione.

Nel 1919 sia gli Armeni che i Kurdi presentarono le loro rivendicazioni di autonomia alla Conferenza di Parigi. Col trattato di Sèvres, negli articoli 62,63 e 64 ai Kurdi viene riconosciuta l’indipendenza, dato che alle grandi potenze interessava costituire uno stato cuscinetto tra la Russia e la Turchia. Il trattato fu molto fragile e scatenò la guerra turca contro i Greci. Con la vittoria turca nel 1922 tutte le scelte precedenti furono messe in discussione e il trattato di Losanna segnò il tradimento dei precedenti accordi dei vincitori con Kurdi e Armeni, i quali non furono invitati e i loro territori furono divisi tra Turchia, Siria e Iraq.

Questa divisione fu successivamente confermata nel 1925 dal Consiglio della Società delle Nazioni che sancì la definitiva spartizione del territorio del Kurdistan a cinque stati.

Da tale epoca fino ad oggi, l'unica ulteriore occasione di indipendenza per i Kurdi fu la fondazione della repubblica di Mahabad il 22 gennaio 1946, in Iran. A questa esperienza parteciparono i leader kurdi della Turchia, della Siria e dell'Iraq in vista di una futura riunificazione nazionale. Nel novembre 1946, le truppe iraniane invasero i territori della Repubblica kurda. Tutti i componenti del governo kurdo furono arrestati, il 13 marzo 1947 il presidente Qazi Muhamad ed altri due ministri furono impiccati pubblicamente proprio sul luogo dove era stata proclamata la Repubblica. Le scuole kurde furono chiuse, i libri stampati in kurdo furono bruciati, centinaia di membri del governo furono uccisi e fu distrutto ogni segno del periodo repubblicano.


In Kurdistan, viaggiatori ed etnologi dei secoli scorsi notavano innanzitutto che le donne, anziché nascondersi sotto il velo informe in uso negli altri paesi islamici, indossavano ( come oggi) abiti dai colori splendenti che mettono in risalto la femminilità, e che le danze popolari di donne e uomini insieme, parte integrante della vita sociale, erano motivo di scandalo per i popoli vicini. Originariamente una delle forme di poesia popolare tra le più note, il Laùk, tipico di molte aree del Kurdistan settentrionale, era composto e cantato esclusivamente dalle donne, ma non perché fossero musiciste di mestiere. Le donne, soprattutto in occasione di fatti d'arme, cantavano le gesta del marito, del figlio, del fratello, o ne celebravano il ricordo di fronte alla famiglia, al villaggio, all'assemblea della tribù. In alcuni aspetti della cultura e della lingua kurda affiorano tracce di matriarcato, resti di una civiltà remota eppure tenace, tanto da aver resistito all'offensiva antifemminile del Corano: la donna kurda ha mantenuto un ruolo importante, anche a capo di clan e principati, in pace e in guerra, nei movimenti indipendentisti e nella resistenza.

L'aspetto gioviale dei loro volti, la tinta bruna, la vivacità dei loro occhi rammentano le selvaggie ninfe dei monti, immaginate dai poeti. Le loro attrattive spiccano in tutta la loro forza dai quindici ai vent'anni. Avvezze alla vita errante fin dalla nascita, acquistano ben presto un indomito ardire: montate costantemente su corsieri senza pari per la velocità, salgono e discendono per le più scoscese colline, sfidano i loro mariti nelle più rapide corse, li seguono, li soccorrono nel periglio della battaglia. Giunte per altro all'età di venticinque anni, i loro vezzi presto svaniscono, e mentre la tempra dei loro corpi è fatta più robusta pei disagi della vita nomade, i loro visi più non presentano quei caratteri di vaghezza che le facevano poco prima altrettante fiere beltà. Il loro modo di vestire piuttosto negletto e più simile a nudità, la poca cura nell'acconciarsi le lunghe treccie di capelli che non di rado loro arrivano fino in fondo della persona, a primo aspetto poco piacciono allo straniero, avvezzo alle dorate sale d'Europa.
Come l'altre orientali, le donne kurde hanno il costume di tingersi in rosso le unghie delle mani e dei piedi mediante il preparato assai in uso della hinnà-hinnà. Si tingono eziandio le sopracciglia con antimonio e con altri preparati, in guisa da formare quasi intieramente un arco nero sulla loro fronte. Il medesimo colore pur distendono sulle palpebre, e ne fanno risultare due linee curve, che, andando a congiungersi sull'osso temporale, danno all'occhio la forma tanto apprezzata della mandorla.

le prime donne curde combattenti di cui si ha notizia risalgono al XII secolo quando fu il Saladino a volerle al suo fianco, apprezzandone dedizione e addestramento.  


8 marzo sulle montagne del Qandil
 uno dei santuari curdi tra le nevi perenni delle montagne irachene


      

martedì 24 marzo 2015

Tik tik tik tik ...

era da due giorni che non li vedevo.mah, saranno partiti,strano,in montagna c'è ancora molta neve.
questa mattina aprendo un tunnel, dove avevo riposto piante appena invasate, con la coda dell'occhio vedo qualcosa volare e nascondersi tra le piante.eccolo li penso....il solito merlaccio antipatico.non fai in tempo a sistemare due piante appena invasate che subito arriva a ribaltare tutto,approfittando del terriccio ancora soffice.entro deciso nel tunnel,sento il rumore delle zampette che riecheggiano tra le piante sul tappetino anti alga del fondo,tik tik tik tik.cammino e per far rumore batto le mani,per spaventarlo e invitarlo ad uscire.quando sto per raggiungerlo,spicca un volo di pochi metri facendosi vedere per poi imboscarsi di nuovo tra le piante,o cavolo è un pettirosso non un merlo.mi fermo,lo chiamo,cercando di imitarne il verso.di colpo lo zampettare si ferma,poi ricomincia,tik tik tik tik ,ma questa volta viene verso di me.
sbuca di colpo sul sentiero a un metro da me,con uno sguardo da impunito,si ferma e mi guarda.
MA DAI,ma come si fa ahahhahaha.
non sono ancora partiti :)


domenica 15 marzo 2015


today morning



bamboo comestibile ma è ancora presto per raccogliere i nuovi teneri germogli 

danno luce alle sequoie le mimose in piena fioritura :)


di fronte il lago triste e silenzioso

un saluto alle sorelline emigrate in veneto :)


Sean Sean

la Carta di Utrecht del 1106



Nel 1106 o 1107, «l'arcivescovo [di Amburgo], signore territoriale, vuol popolare la regione; egli accoglie dei coloni, di cui ha forse sollecitato la venuta, che metteranno a coltura queste terre paludose, ma praticheranno soprattutto l'allevamento. Gli uomini, che vengono dai Paesi Bassi, sono esperti nel drenaggio delle acque; condotti dai loro preti (ai quali si deve senza dubbio il reclutamento dei pionieri), daranno vita a delle comunità parrocchiali, ma i lotti uniformi ch'essi ricevono individualmente, di vaste dimensioni, impongono una certa dispersione dell'abitato. Quanto al regime signorile istituito con questo contratto, esso s'ispira alle pratiche in uso sui polders nel paese d'origine dei coloni. Molto liberale, impone a ogni famiglia unicamente una tassa in moneta, molto leggera, nient'altro che un segno di sottomissione politica. Il signore del banno abbandona ai contadini l'esercizio della giustizia; egli non interverrà, su loro domanda, che per le cause maggiori; inoltre non si approprierà che del terzo delle ammende. Molto indipendenti, queste comunità si autoamministreranno. Il solo profitto del signore consiste in un prelievo sul prodotto futuro, ma limitato ad un decimo.

Nel 1154, un'iniziativa di popolamento del vescovo di Meissen. Anche in questo caso i coloni vengono dai Paesi Bassi, ma questa volta la carta nomina uno Schultheiss, al quale si deve senza dubbio l'organizzazione della colonizzazione. Assicuratosi lo sfruttamento di una porzione di terra doppia di quella delle famiglie contadine, egli detiene anche la bassa giustizia e ne riceve il terzo dei profitti. In piccolo egli diventa il «padrone del villaggio»
Il diritto dei coloni
Per portare a buon fine il loro disegno di bonifica e messa a frutto degli alti boschi, ai signori italiani del Vallese occorreva una popolazione la cui caratteristica peculiare sembrava essere una forma di adattamento quasi biologico ad un ambiente in cui era davvero arduo vivere. Nel Goms coloro che negli anni avvenire saranno conosciuti col nome di Walser avevano affinato le loro tecniche per la costruzione di infrastrutture civili ed economiche: curare i boschi, dissodare, coltivare, gettare acquedotti per l’irrigazione dei campi e per l’utilizzo domestico, costruire stalle ed abitazioni, mulini, forni, fucine… Si presentavano come i candidati perfetti per tale impresa. Occorreva tuttavia offrire a questi ultimi un valido incentivo ed i signori ricorsero al “diritto dei coloni” il cui testo fondamentale è la Carta di Utrecht del 1106. In essa l’Arcivescovo Friedrich di Amburgo-Brema fissava un accordo con alcuni contadini olandesi esperti nello strappare terre al mare; questi ultimi accettavano di risiedere sulle sponde paludose del Weser per bonificarle e renderle coltivabili ricevendo in compenso il diritto di tenere tali terre in affitto perpetuo e trasmissibile agli eredi, l’amministrazione e la giurisdizione minore e numerose libertà personali. In altre occasioni, altri contadini in tutta l’Europa poterono usufruire di tale “diritto”, ma nessuno di essi fu capace di sfruttarne le potenzialità come seppero fare i coloni alemanni: essi furono abili a plasmarlo fino a renderlo un modello all’avanguardia, in una realtà di asservimento della gleba.

In primo luogo era indispensabile garantire ai coloni l’emancipazione da molti obblighi che gravavano sui servi della gleba; in pratica non avevano limitazioni di matrimonio, non dovevano pagare tributi d’onore e tasse sul corpo ed avevano libertà di movimento per la terra da colonizzare. Essi erano in pratica liberi e svincolati da qualsiasi “proprietà feudale”, concessione fondamentale per uomini che di professione volevano fare i colonizzatori. Dopo aver concesso una quasi piena libertà di movimento, occorreva garantire loro un minimo di sicurezze, in un’impresa che aveva poche certezze di riuscita. Il colono trovava un terreno che giudicava coltivabile, lo dissodava e lo seminava; verificava se da esso potesse trarre il minimo per la sopravvivenza per sè e la sua famiglia e, solo allora, veniva stipulato un contratto di libero affitto ereditario con il Signore. In esso di fondamentale importanza erano le clausole che riguardavano la possibilità di vendere o ipotecare il diritto d’uso e di andarsene in assoluta libertà. Ma la chiave di volta di questo contratto era il canone d’affitto, immutabile nel tempo. Qualora il colono fosse stato in grado di moltiplicare il valore del terreno apportandovi migliorie o dissodando un altro appezzamento adiacente, il plusvalore non veniva tassato. Quando, infine, al tributo in natura si sostituì quello in denaro, la svalutazione del canone ridusse le entrate del proprietario terriero a piccole somme, tanto che la vendita del terreno agli stessi coloni si rivelava molto più redditizia di un “meschin balzello”: non dimentichiamo che i signorotti di allora erano sempre in cerca di liquidità per promuovere piccole operazioni belliche o semplicemente per mantenere il loro alto e dispendioso tenore di vita.

Un terzo capitolo fondamentale riguardava la gestione amministrativa e giuridica dell’insediamento: ai coloni era lasciata la prerogativa di regolare tutto quello che concerneva l’amministrazione della colonia. Gli alemanni erano già avvezzi all’autogestione e seppero organizzare il menage coloniale in modo brillante e democratico. Tra tutti i residenti della colonia veniva liberamente scelto un Ammano che avrebbe ricoperto la carica di giudice e presidente del tribunale: sotto la sua competenza era la bassa giurisdizione penale “secondo le loro consuetudini”. La sua autorità si estendeva anche al campo amministrativo, poiché, sempre su base democratica, egli era garante e curatore della divisione degli oneri di gestione della comunità. All’Ammano era dato il compito di dirimere le piccole liti di natura civile, i diritti di godimento sull’allmende (demanio), le quote d’alpeggio, i rapporti con le vicinanze, l’acquisto dei diritti di appartenenza alla comunità, gli sconfinamenti durante il pascolo, il taglio del bosco, l’aratura, la formazione dei libri dei censi, la suddivisione delle spese per le opere pubbliche, la sistemazione delle strade o lo sgombero della neve, gli affari di culto e così via. L’intera colonia si comportava di fatto come un comune, potendo curare, in modo indipendente e democratico, l’amministrazione, la giustizia ed i rapporti economici con altre colonie.
Un quarto fattore, forse poco valutato, ma di uguale e sostanziale importanza, verteva sull’obbligo di protezione del Signore e di leva militare. Nella maggior parte degli atti di concessione sono previste prestazioni militari limitate geograficamente e a casi di particolare
pericolo. Nel caso più frequente di insediamenti promossi dai monasteri o dai capitoli canonici è del tutto assente qualsiasi obbligo feudale di soccorso militare.
Tutto ciò si traduceva nel dovere del colono di difendere unicamente l’insediamento, nel proprio interesse e
 di quello del feudatario e di conseguenza, non ci sarebbero state braccia strappate alla terra, se non per la tutela della stessa.
Nessuno spreco era concesso per una così difficile opera azione.

domenica 8 marzo 2015

eccolo qui mi ha sentito arrivare :)


Auguri :)


Moonlight Bay (camelia japonica)


We were sailing along on Moonlight Bay
We could hear the voices ringing
They seemed to say

You have stolen my heart
Now don't go away
As we sang love's old
Sweet song on Moonlight Bay

We were sailing along on Moonlight Bay
We could hear the voices ringing
They seemed to say

You have stolen my heart
Now don't go away
As we sang love's old
Sweet song on Moonlight Bay