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martedì 12 giugno 2012



La Sartiglia di Oristano
 l’ultima domenica e il martedì di Carnevale, ogni anno, Oristano diventa capitale della Sardegna. C’è la Sartiglia. Festa dai mille simboli, festa della magia, della prosperità e della miseria, del dolore e della speranza.
 La Sartiglia non è una semplice celebrazione dei riti 
carnascialeschi, non è nemmeno la riproduzione di una giostra medioevale, né una mera esibizione di audaci e aitanti cavalieri. Dentro la Sartiglia convivono elementi di tradizione e cultura tramandati da centinaia d’anni. In questa manifestazione, che ad Oristano è vissuta con intensità emotiva indescrivibile sin dai tempi del Giudicato d’Arborea, sopravvivono probabilmente alcuni degli aspetti più interessanti e inesplorati della ritualità pagana, contaminata dai cerimoniali di origine cristiana.
Che cosa significa il nome Sartiglia o Sartilla (come si diceva un tempo a Oristano)? Il vocabolo deriverebbe dal castigliano Sortija, che a sua volta ha origine dal latino sorticola, anello, diminutivo di sors, fortuna. Nel significato c’è veramente il senso della gara che è sì una corsa all’anello, alla stella, ma anche una festa legata alla sorte. Un evento nel quale è facile rintracciare reminiscenze di antichi riti agrari attraverso i quali i popoli chiedevano agli Dei la fertilità della terra e l’abbondanza del raccolto.
Le radici sono lontane nel tempo. In Sardegna, le gare cavalleresche di stampo orientale furono importate dalla Spagna, dove già lo praticavano i Mori. La Sartiglia è presente ad Oristano dalla metà del XIII secolo.
La tradizione vuole che, per scongiurare le risse che avvenivano a Carnevale tra arborensi e soldati aragonesi (circondati dall’odio della popolazione locale per averla sconfitta e aver conquistato la sua terra) un canonico istituisse un legato a favore del Gremio degli Agricoltori, per il mantenimento della Sartiglia (dove il corpo a corpo era vietato) e per sostenere le spese per il ricco pranzo da offrire ai cavalieri che partecipavano alla giostra.
La tradizione trova conferma nel fatto che il Gremio gode ancora oggi del lascito (Su Cungiau de Sa Sartiglia) per il mantenimento della Giostra.
La Sartiglia della domenica si svolge sotto la protezione di San Giovanni Battista, quella del martedì, organizzata dal Gremio dei Falegnami, sotto la protezione di San Giuseppe. 

Le usanze stratificate nel tempo fanno da contorno all’unico vero protagonista, al Re della Sartiglia: Su Cumpoidori e la sua maschera androgina. È lui il Signore della Festa. Uomo e donna al tempo stesso, né femmina né maschio, Su Cumpoidori nasce nel corso di una vestizione pubblica, celebrata da ragazze bellissime che indossano costumi antichi. La Sartiglia comincia proprio così, con la vestizione del Capo Corsa, uno dei riti più impenetrabili della tradizione sarda.
Sono i due Gremii a scegliere e selezionare chi, tra tanti aspiranti, vestirà i panni di Su Cumpoidori. C’è un antico rituale che viene rispettato. E raggiunge il suo culmine nella vestizione del Capo Corsa, il giorno della gara. Un rito denso di sacralità, perché Su Cumpoidori deve essere forte, puro e coraggioso, deve diventare un sacerdote della fecondità 

Alla fine, Su Cumpoidori esce vestito con in capo un cilindro nero, la mantiglia, una camicia ricca di sbuffi e pizzi, il gilet e il cinturone di pelle. Un po’ grottesco, a prima vista. Ma c’è la maschera, bianca, sul volto incorniciato da una fasciatura con fazzoletti di seta, a scompigliare lo sguardo del neofita. L’espressione profonda di questa maschera trasforma Su Cumpoidori, lo rende inavvicinabile, inarrivabile. Da quel momento in poi, sino alla fine della corsa, il Cavaliere diventa un semidio sceso tra i mortali per dare loro buona fortuna e mandare via gli spiriti maligni.A lui viene consegnata Sa Pippia de Maju, un fascio di pervinca avvolto in panno verde su cui è innestato un doppio mazzo di viole, simbolo della fertilità e della primavera. 
A conclusione della gara, il Cavaliere agiterà Sa Pippia all’indirizzo della folla, impartendo la benedizione.
Nel locale viene quindi fatto entrare il cavallo e Su Cumpoidori deve montare in sella, badando sempre a non toccare terra. L’uscita dalla casa è festosa e il Cavaliere si avvia, con i suoi vice Capi Corsa, Su Segundu e Su Terzu Cumpoi, verso il percorso della Giostra.

I rituali non sono ancora finiti. Il corteo raggiunge Sa Xea Manna dove è sospesa la stella. Ed il Capo Corsa vi passa sotto tre volte, incrociando la spada con Su Segundu. Gli squilli di tromba e il rullare dei tamburini danno il segnale di via libera. La Giostra può cominciare.
I tamburi rullano incessantemente, il cavaliere ha indosso la Maschera di un Dio misterioso e impugna la spada tenendola dritta davanti a sé. Si leva in piedi sulla sella mentre il cavallo sfreccia a perdifiato sulla pista, al galoppo sfrenato. Pochi secondi dopo, il boato del pubblico accompagna la punta del fioretto che infilza la stella. È fatta. La gente acclama Su Cumpoidori ed esulta davanti a quel trofeo mostrato con orgoglio e vanto.
A Su Cumpoidori spetta il compito di aprire la Corsa alla Stella. Poi toccherà ai suoi vice e infine ad altre decine e decine di cavalieri. Dal numero delle stelle infilate dipenderà l’andamento dell’anno in corso. Alla fine, il Capo Corsa e i suoi due vice proveranno ad infilzare la stella con Su Stoccu, un’asta di legno lavorato. Prima delle acrobatiche e spericolate Pariglie, che regaleranno emozioni e paure sino al tramonto, Su Cumpoidori dovrà tenere fede ad un ultimo rito, Sa Remada, con il Cavaliere costretto a percorrere di corsa la pista disteso di schiena sul dorso del cavallo.
Solo allora la Sartiglia potrà essere dichiarata conclusa e il rito definitivamente consumato.


 Ma sarà una semplice pausa. In attesa dell’edizione successiva, quando ancora una volta la folla si identificherà in quell’eroe, uomo e donna insieme, protagonista di una cerimonia pagano - cristiana che continua a ripetersi inalterata da secoli.













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