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domenica 27 gennaio 2013

Giardini nella storia 
I giardini romani
I giardini romani derivarono dagli orti. Intorno al sec. II a.C. si diffuse la distinzione tra villa di campagna e villa di città: hortus o villa indicava il giardino rurale, horti invece furono chiamati l'in­sieme di edifici e giardini costruiti intorno e al centro di Roma. Una fascia di grandi parchi, annessi per lo più alle ville patrizie circondava la capitale, abbellita del resto da parchi pubblici destinati al po­polo. Si trattava quasi sempre di grandi recinti, costeggiati da lunghissimi portici, abbelliti da filari di alberi, statue e fontane. Le ville dei patrizi erano invece abbellite da terrazze, scalinate, uccelliere, via­li ricchi e maestosi, raccolte di arte e di animali. In vasi o in aiuole disposte intorno alla piscina si col­tivava il bosso, il mirto, il cipresso, il leccio insieme agli alberi da frutta ed i fiori.
A Roma poco è rimasto dei famosi horti: in compenso sappiamo quasi tutto dei giardini pompeiani ed ercolanensi, perfettamente conservati dalle ceneri del Vesuvio. Di dimensioni inferiori a quelle dei giardini romani, il giardino pompeiano era quasi sempre chiuso nella casa stessa, il giardino-peristilio come quello dell'elegante casa di Giulia Felice a Pompei, abbellito da fontane e vasche.
Secondo Pierre Grimal, fu nel leggere la descrizione che Curzio Rufo fece dei giardini visti da Alessandro Magno in Persia che anche i Romani si appassionarono a questi luoghi di bellezza, creati per il piacere e l’otium, cioè per il tempo libero dalle occupazioni politiche. «Il giardino, che è la forma più alta di civiltà, esprime amore della natura e desiderio di disciplinarla, di eliminarne gli aspetti selvaggi,
un ideale di bellezza quasi soprannaturale»1. Come nei mitici giardini di Calipso dove si trattenne Ulisse, di Alcinoo nell’isola dei Feaci, dell’Eden nella Bibbia. Il giardino – questa è la tesi fondamentale di Grimal – è un elemento essenziale per conoscere i Romani, perché questi furono sempre «contadini esiliati in città». Gli aristocratici e i ricchi, fin dall’età repubblicana, si costruirono ville e giardini nel centro della capitale e sui pendii dei colli per potere essere contemporaneamente cittadini e campagnoli.
I giardini romani, almeno inizialmente,erano meno spettacolari di quelli orientali descritti da Curzio Rufo. I Romani non avevano tante specie di vegetali come noi oggi. I portici di quelle loro dimore si affacciavano su aiuole di rose, viole, narcisi, gigli, gladioli, poi siaprivano alla vista lunghi viali di platani, passeggi allineati di bossi e cipressi.Sparse qua e là fontane, tempietti, colonne, piramidi avvolte di edera.Non per nulla le grandi epoche dei giardini sono anche quelle dell’arte romana:
i secoli di Lucullo, di Augusto, di Adriano, come poi avvenne per Firenze e Versailles.
Il primo studio sull'arte del giardinaggio si trova nella Historia naturalis di Plinio.
Scrive Andrew Wallace Hadrill: «Il giardino di città può essere una variante della villa, ma non senza connotati e valori propri. Il
giardino è una negazione del foro, segnala un’astinenza politica di un certo tipo; e tuttavia, poiché in pratica è a portata di mano dal centro del potere ed è un forte segnale pubblicitario di grandi ricchezze, alla fin fine è una ricerca o pretesa di potere». Una leggenda narrata da Svetonio e Plinio il Vecchio coniuga in modo esplicito il giardino col potere imperiale. Nel giardino della villa di Livia, moglie di Augusto, un’aquila avrebbe fatto cadere nel grembo dell’imperatrice una candida gallina recante nel becco un ramoscello di alloro.
Gli àuguri avrebbero piantato il ramo, e con questo sarebbero stati incoronati tutti gli imperatori dopo Augusto. Il giardino della villa è ritratto in un bellissimo affresco conservato a Roma al Museo Nazionale.

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