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sabato 1 dicembre 2012



Sunkmanitu tanka - il mondo 

degli Indiani d'America






Racconti degli Indiani d'America


La grande conchiglia di Kintyel (parte 3)
(Navaho) 


<<Dove stai andando?>> gli domandarono. <<Desidero unirmi alla vostra spedizione>> rispose. 
I guerrieri risero di lui e gli dissero: <<Sei uno sciocco se pensi di poter far guerra ai terribili nemici che noi combattiamo. Noi ci muoviamo rapide come il vento, e tuttavia i nostri nemici sanno muoversi ancora più in fretta. Se possono sconfiggere noi, quali possibilità hai tu, povero uomo, di salvarti la vita?>>. 

Proseguirono, viaggiando a piedi, e il Navaho li seguiva a distanza. Quando si accamparono per la notte, si unì di nuovo a loro, e questa volta gli si rivolsero adirati, ordinandogli di tornare ai pueblos non appena si fosse fatto giorno. 
La mattina dopo, quando le Aquile Guerriere ripresero la marcia, Nahoditahe restò sul luogo dell'accampamento, per mostrare che intendeva fare come gli era stato detto, ma non appena le Aquile scomparvero alla vista si avviò nella loro direzione. Non aveva fatto molta strada, allorchè scorse una piuma di fumo che si alzava dal terreno, e avvicinatosi trovò un buco per il fumo entro il quale stava una scala, ingiallita dal fumo. Guardò dentro e vide nella stanza sottostante una vecchia dall'aspetto strano e dalla grossa bocca. Denti ricurvi le uscivano dalla bocca, ed egli capì che quella era la Donna Ragno, colei che aveva insegnato ai Navaho l'arte della tessitura. Essa lo invitò a scendere la scala. 
Non appena fu sceso nella sua casa, la donna gli mostrò quattro grossi anelli magici, uno nero, uno blu, uno giallo, uno bianco. Attaccate agli anelli v'erano parecchie penne tutte rovinate. <<Queste penne>> disse <<un tempo erano belle, ma ora sono vecchie e sporche. Devo avere nuove penne per i miei anelli, e tu puoi procurarmele. Molte Aquile resteranno uccise nella battaglia a cui ti stai recando, e quando muoiono devi strappare le loro penne e portarmele.>>
Nahoditahe si trasse indietro. <<No,>> disse lei <<non devi aver paura dei loro nemici.>> Rise. <<Sai contro chi le Aquile vanno a combattere? Contro calabroni e erba palla (piante del genere Amaranthus le cui foglie e rami secchi formano palle sollevate e spinte qua e là dal vento della prateria).>> 
Gli diede una lunga canna nera e uno stelo grosso di erba del serpente. <<Con questa canna puoi vincere l'erba palla, e quando i calabroni ti vengono addosso, mastica lo stelo di erba del serpente e sputane il succo contro di loro, così non potranno pungerti. 
Ma prima di distruggere l'erba palla, prendi un po' dei suoi semi, e dopo che avrai distrutto i calabroni prendi un po' dei loro nidi pieni di piccoli. Avrai bisogno di queste cose quando tornerai sulla terra. E adesso vai sul campo di battaglia.>> 
Il Navaho riprese il cammino, finchè vide le Aquile che si nascondevano dietro una piccola collina. Stavano preparandosi alla lotta: si dipingevano la faccia e si mettevano addosso le penne. Di tanto in tanto una di esse s'arrampicava cautamente sulla cresta della collina e scrutava dall'altra parte. Poi tornava di corsa e riferiva: <<I nemici stanno radunandosi. Ci aspettano>>. Curioso di vedere quei nemici, Nahoditahe strisciò sulla cresta della collina e sbirciò sul versante opposto. Non vide alcun nemico; non vide nulla tranne un'arida piana sabbiosa coperta su un lato da una massa di girasoli, dall'altro di globi d'erba palla.
Più o meno a questo punto le Aquile lanciarono il loro grido di guerra e si gettarono oltre la collina nella piana sabbiosa. Guardando dall'alto, il Navaho vide un turbine d'aria alzarsi dal terreno; un numero sterminato di palle d'erba si levò in un vortice di polvere ruotando follemente nell'aria. Contemporaneamente, dalla massa dei girasoli si alzò in volo uno stormo di calabroni. 
Le Aquile caricarono in mezzo alle file dei loro nemici, e quando le ebbero attraversate si volsero e caricarono di nuovo. Alcune spalancarono le ali e sfrecciarono in alto per attaccare l'erba palla schizzata in vortice verso il cielo. Di tanto in tanto il corpo scuro di un'Aquila cadeva sfracellandosi al suolo. Dopo che il combattimento era iniziato da qualche tempo, alcune Aquile giunsero correndo verso la collina in cima alla quale Nahoditahe si era steso a osservare. In un attimo, altre presero a fuggire dal campo di battaglia, e ben presto tutta la banda, o quanto ne era rimasta, passò correndo accanto a Nahoditahe in fuga disordinata, lasciando molte Aquile morte sul campo. Quindi il vortice si placò, le palle d'erba tornarono immobili, sparse sul terreno, e i calabroni scomparvero in mezzo ai girasoli. 
Quando tutto fu quieto, il Navaho scese il pendio e raccolse alcuni semi d'erba palla, legandoseli in un angolo della camicia. Servendosi della canna nera, ammucchiò i globi d'erba palla in una pila cui diede fuoco. Tirò fuori l'erba del serpente che la Donna Ragno gli aveva dato e la masticò finchè non ebbe la bocca piena di succo. Quindi avanzò verso i gialli girasoli.
All'improvviso i calabroni sciamarono intorno a lui cercando di pungerlo, ma egli sputò loro addosso il succo dell'erba serpente. Quelli che colpì caddero tramortiti al suolo, gli altri fuggirono spaventati. Nahoditahe uccise tutti quelli che potè trovare, quindi scavò alcuni loro nidi. Catturò due piccoli calabroni, li legò insieme per i piedi e li chiuse in un angolo della sua coperta. Poi, ricordando ciò che la Donna Ragno gli aveva detto, andò in giro fra le Aquile morte, strappando dai loro corpi quante penne e piume potè portare.
Iniziato il viaggio di ritorno, presto giunse alla casa della Donna Ragno e le diede le penne e le piume. <<Grazie, nipote mio>> disse lei. <<Mi hai portato le penne e le piume che mi servivano, e al tempo stesso hai reso un gran servigio alle tue amiche Aquile facendo strage dei loro nemici.>>

Quella notte dovette dormire all'addiaccio (spazio aperto dove il gregge veniva radunato per la notte), ma la mattina dopo raggiunse i pueblos delle Aquile. Avvicinandosi alle case, udì le Aquile gemere e lamentarsi per la perdita delle loro compagne. Si affollarono attorno a lui. <<Abbiamo perduto tante del nostro stesso sangue>> dissero <<e piangiamo per loro. Abbiamo pianto anche per te, poichè quelle che sono tornate ci hanno detto che eri morto in battaglia.>> Nahoditahe non rispose, ma trasse i due piccoli calabroni dalla coperta e li fece roteare sopra la testa. Vedendo gli insetti, le Aquile furono atterrite e fuggirono, e non smisero di correre finchè non si furono nascoste dietro le loro case. Ma presto vinsero la paura e tornarono ad accalcarsi attorno al Navaho. Egli mostrò loro di nuovo i calabroni, e di nuovo esse fuggirono terrorizzate. Una terza e una quarta volta Nahoditahe giocò con i calabroni per far capire alle Aquile che non avevano più alcuna ragione di temerli. Quindi prese i due calabroni e li mise a terra, trasse i semi d'erba palla e li mise accanto ai calabroni. <<Amiche mie,>> disse <<ecco i piccoli dei vostri nemici. Guardateli e sappiate che ho sterminato i vostri nemici.>>
Vi fu grande esultanza fra le Aquile quando ebbero udito ciò, e il capo del pueblo
bianco condusse Nahoditahe nella propria casa e gli mostrò la più bella stanza che il Navaho avesse mai veduta. Le pareti, lisce, erano rivestite di terra bianca, e l'arredamento era della miglior qualità. Ceppi bruciavano allegri in un camino circondato da lastre di pietra per cuocere, bei vasi, anfore per acqua. <<Figlio mio,>> disse il capo <<questa casa è tua>>.



(fine terza parte)

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