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sabato 17 novembre 2012



Sunkmanitu tanka - il mondo 

degli Indiani d'America






Racconti degli Indiani d'America


La grande conchiglia di Kintyel (parte 1)
(Navaho) 



Nei giorni in cui Kinniki, il capo di tutte le Aquile, viveva sulla terra, egli mandò lo Spirito del Vento a persuadere un certo giovane Navaho a lasciare la sua gente per recarsi al Canyon di Chaeo. Qui fu detto al Navaho di vivere da mendicante appena fuori del pueblo di Kintyel. A Kintyel vi erano molte persone ricche, e da qualche parte in una estufa (uno dei loro luoghi segreti di riunione) era nascosta la più grande conchiglia marina del mondo. La conchiglia era stata trasportata per molte miglia attraverso montagne e deserti dal Grande Oceano dove tramonta il sole, e la gente di Kintyel la considerava il suo sommo tesoro. 
Poiché questi Pueblo saccheggiavano continuamente i nidi delle Aquile e catturavano i piccoli, il capo delle Aquile decise di punirli privandoli della loro grande conchiglia. Ma prima si doveva scoprire il luogo ove essa era stata nascosta, e questa fu la ragione per cui il giovane Navaho fu mandato là, a fingersi un misero mendicante mentre cercava di scoprire il luogo dov'era nascosta la conchiglia.
Assunto il nome di Nahoditahe, il Navaho si vesti di stracci e prese ad aggirarsi per Kintyel, fingendo di frugare tra i rifiuti di cucina e la spazzatura degli alloggi in cerca di pezzetti di pane e chicchi di mais. Un pomeriggio, mentre stava uscendo dal suo rudimentale riparo fuori del pueblo, notò due giovani che, tutti eccitati, agitavano le braccia in direzione della Montagna della Roccia in Piedi. Avevano avvistato, altissima nel cielo, un'Aquila Guerriera. Nahoditahe osservò l'Aquila allontanarsi lentamente, diventare sempre più piccola contro l'azzurro, e poi scendere su uno dei picchi della Montagna della Roccia in Piedi. Nahoditahe vide anche i due giovani tagliare un ramo dritto e forcuto e piantarlo nel terreno con la forcella in alto, ponendolo in modo che, stando in una certa posizione e guardando al di sopra della forcella, si poteva vedere il punto esatto dove l'Aquila s'era posata. Lasciarono il ramo, allora, e si affrettarono verso Kintyel. 
Le Aquile erano scarse nella zona del pueblo perché la gente ne aveva catturate o uccise molte per via delle penne, e così la notizia che ne era stata avvistata una provocò grande eccitazione. La mattina dopo Nahoditahe vide quattro capi dei clan di Kintyel uscire dal villaggio e chinarsi a turno sulla forcella del ramo piantato a terra. 
Poco dopo partirono per la Montagna della Roccia in Piedi. Prima di notte tornarono, annunciando d'aver trovato un nido d'Aquila con dentro due begli Aquilotti.
L'unico modo per raggiungere il nido, però, era di farvi scendere un uomo appeso a una corda. E poiché la corda avrebbe dovuto passare sopra un lastrone di roccia sporgente, il compito sarebbe stato difficile e pericoloso. I capi chiesero dei volontari, ma nessuno sembrò disposto ad affrontare l'impresa, neppure con la prospettiva di un premio così ambito come due giovani Aquile. Mentre si discuteva il problema in un luogo di riunione, qualcuno suggerì di provare con quel mendicante Navaho. 
Mandarono a chiamare Nahoditahe, e quando arrivò nella sala della riunione gli offrirono tazze di carne e mais bollito, un cestino di ciambelle di pane azzimo e altri cibi prelibati. Nahoditahe non aveva più visto tante cose buone da mangiare da quando aveva lasciato il paese dei Navaho, e mangiò come non aveva mai mangiato prima. Quando ebbe finito, ringraziò i Pueblo della loro generosità. 
<<Se farai quello che ti chiederemo,>> gli dissero <<avrai da mangiare con altrettanta abbondanza per tutta la vita e non dovrai più frugare fra le ceneri e la sporcizia in cerca di chicchi di mais.>> E gli dissero del progetto per catturare gli Aquilotti, chiedendogli se sarebbe stato disposto a farsi calare fino al nido in un cesto trattenuto da corde.
Nahoditahe capì subito che quella era un'occasione per aiutare le sue amiche Aquile, ma finse di aver paura di affrontare l'impresa. Se ne stette seduto a lungo in silenzio, come se soppesasse i rischi, e quindi, dopo che ciascuno dei capi l'ebbe pregato di accettare, rispose: <<Quella che faccio è una vita povera, a dir poco>> disse. <<L'esistenza non è allegra per un uomo che è sempre affamato. Mi farebbe piacere mangiare per il resto della mia vita le cose che mi avete dato da mangiare oggi. Farò come desiderate.>>
Durante la notte i migliori cestai dei Pueblo fabbricarono un grosso e solido cesto rettangolare per grossi carichi, con quattro anelli intrecciati agli angoli superiori. La mattina dopo, il Navaho ricevette un'abbondante colazione, e quindi lui, i capi e un folto gruppo che li accompagnava si incamminarono verso la Roccia in Piedi. Portavano il cesto, della corda robusta e una larga rete.
Quando raggiunsero un piccolo spiazzo, una sorta di cengia posta sotto il nido delle Aquile, coloro che portavano la rete vi si diressero, mentre gli altri salirono in cima alla rupe. Qui assicurarono la corda ai quattro anelli del cesto e dissero a Nahoditahe di entrarvi. <<Quando ti caliamo nel nido,>> gli dissero <<tu prendi gli Aquilotti e gettali nella rete che gli uomini in basso avranno tesa.>>
Nahoditahe montò nel cesto e i Pueblo lo abbassarono lentamente oltre l'orlo della rupe, nel precipizio. Dopo un minuto o due il cesto si fermò. <<Abbassatemi ancora un poco>> gridò loro il Navaho. Il cesto fu abbassato ancora, finchè non fu alla stessa altezza del nido. <<Fermi!>> urlò Nahoditahe. La voce e l'apparizione improvvisa spaventarono le giovani Aquile. Il Navaho sentì un soffio d'aria fresca, e n quel momento lo Spirito del Vento gli fu tutto intorno, mormorando: <<Questa gente, i Pueblo, non è tua amica. Non intendono mantenere la promessa di provvederti di buon cibo finchè vivi. Se getti le giovani Aquile nella rete, non ti tireranno più su. Entra nel nido e stacci>>




(Fine prima parte)

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