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domenica 14 ottobre 2012


La linfa dei Patriarchi
Alberi Monumentali


I Larici più antichi d'Europa (S. Gertrude di Bolzano)
Spetta all'Italia il primato dei più antichi larici d'Europa. 
Risalendo lungo la valle che da Merano conduce a S. Gertrude (Bz), in Valle dell'Ultimo, si incontrano tre meravigliosi esemplari che risalirebbero a ben 2280 anni fa, più o meno all'epoca di Annibale e Scipione.
Ci si arriva facilmente partendo da Merano e raggiungendo S. Gertrude. Si imbocca poi un sentiero - se temete di perdervi gentili abitanti vi indicheranno la vostra meta - e li si incontra riuniti insieme 100 metri più in là di una vecchia casa attorniata da stalle e fienili.
In origine erano quattro ma 80 anni fa circa un violento temporale ne abbatté uno. Fu allora che qualcuno ne contò gli anelli: 2200! Da qui se ne dedusse che gli altri tre larici avessero la stessa età e quindi, oggi, circa 2280 anni. L'Urlaerche (Larice antico) più imponente ha una circonferenza di circa 6 metri ed essendo in parte cavo consente l'accesso al suo interno da cui pende una lunga fune. Gli altri due fratelli, in condizioni meno buone, svettano accanto nella loro imponenza. Il larice è un albero particolare: innanzitutto è l'unica conifera a perdere le foglie d'inverno e chi non ne conoscesse questo segreto potrebbe credere che sia morto. Poi, appare per molti molti anni come un esile tronco che sale fino in alto, longilineo e sottile. Vedendo l'imponenza degli Urlaerche di S. Gertrude non si può negare che siano molto antichi.

Larice - Larix decidua Mill.
Divisione: Spermatophyta
Sottodivisione: Gymnospermae
Classe: Coniferae
Famiglia: Pinaceae


Originario delle montagne dell'Europa centrale (Alpi, Carpazi, Tatra). In Italia è molto comune in tutte le Alpi, dove si spinge anche a quote molto elevate (oltre i 2.500 metri). Dove il bosco lascia il posto alle praterie alpine si incontrano individui isolati, deformati dal vento e dalla neve.

Caratteristiche generali

Dimensione e portamento
Albero alto fino a 40 metri.
Tronco e corteccia
Tronco cilindrico e chioma aperta e rada. I rami di primo ordine orizzontali, mentre quelli di secondo ordine sono penduli.
Foglie
Foglie decidue (lunghe 2-4 centimetri), aghiformi, molli e non pungenti, distribuite a spirale tutt'attorno al ramo sui macroblasti riunite invece a fascetti di 20-30 sui brachiblasti. Colore verde chiaro che diventa giallo oro in autunno.
Strutture riproduttive
Fiori unisessuali, coni maschili gialli, femminili rossi, fioritura ad aprile maggio; dopo l'impollinazione diventano bruni, si allungano fino a 4 cm e persistono a lungo sul ramo, anche per anni.
Usi

Il legno di larice è conosciuto fin dall'antichità per la sua durata e robustezza. Per la facile lavorazione, il suo bel colore rosso intenso, è apprezzato nei lavori di falegnameria, specie per gli esterni. Immerso in acqua, diviene resistentissimo. Come altre conifere, dalla resina si estrae la trementina (trementina di Venezia). La corteccia è impiegata per l'estrazione dei tannino.


Questo larice si trova in Polonia:)

Curiosità
Il larice ha sempre evocato ai montanari l’emblema della Robustezza perché resiste al gelo e alle intemperie. La resina di larice è detta «trementina di Venezia» perché in passato il commercio del prodotto, che si raccoglieva nel Trentino, veniva accentrato nella città lagunare. Se ne ricava un’ essenza medicinale, un antisettico contro le malattie infettive e infiammatorie delle vie primarie e respiratorie.
In estate trasuda dalle foglie la cosiddetta «manna di Briançon» con la quale le api producono un ottimo miele.
Gli Ostíachi, popolo siberiano di ceppo finnico, stanziato a valle di Tobolsk, considerano un'altra specie di larice il Larix sibirica, come l’Albero cosmico che unisce cielo, terra e inferi e lungo il quale scendono il Sole e la Luna nelle sembianze di uccelli d’oro e d’argento.
Anticamente veneravano un boschetto sacro, composto da sette larici dove ogni passante era tenuto a lasciare una freccia. Era uso appendervi anche pelli di animale cacciati quali offerte al dio che nutriva l’universo, simboleggiato da quell’albero.
Ma poiché alcuni mariuoli rubavano le offerte, gli Ostíachi decisero di tagliare un tronco e di trasportarlo in un luogo nascosto dove poterono dedicarsi alle loro devozioni senza il timore di furti sacrileghi.
Sulle montagne piemontesi i vecchi sostengono che al primo sole di primavera i rami dei larici mandino un bagliore accecante, quasi si fossero trasformati in raggi solari.

Miti e leggende
Nella val Costeana che dal passo di Falzarego scende a Cortina, c’era un torrente d’argento in cui abitavano le anguane, creature acquatiche. Ne era regina Marugiana, una bella fanciulla che, essendo figlia di un’anguana e del signore del castello, conosceva le tragedie e le sventure che colpivano gli uomini.
Un giorno un principe che passava accanto al torrente s’innamorò, ricambiato, dalla bella Marugiana. Lei, tuttavia, esigeva come dono di nozze che per un attimo almeno il dolore e il male fossero cancellati dal mondo: un desiderio quasi impossibile da esaudire se non nel regno dell’Utopia.
Si consultarono i saggi del luogo ma invano; finché una vecchia aguana disse: «C’è un istante in cui tutto pare fermarsi in una pace irreale: accade ogni secolo, e si ripeterà proprio quest’anno a mezzogiorno in punto nel giorno di San Giovanni Battista».
Così fu e le nozze dei due giovani si celebrarono in un’atmosfera incantata.
Due nani industriosi, che vi partecipavano, pensavano di legare tutti i fiori in un gigantesco mazzo grande come un albero, che piantarono in una radura e chiamarono larice, da lares, termine che in latino designava i geni protettori del focolare.

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