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venerdì 8 giugno 2012

Storie e leggende del veneto - Le Fade

Le Fade di Badia Calavena, Sprea e San Bortolo, apparivano di indole mutevole, a volte gentili e buone, altre dispettose e cattive, pronte all’occorrenza a trasformarsi in serpi o rospi.
Prima del Concilio di Trento frequentavano abitualmente paesi e contrade, non disprezzando di accoppiarsi con uomini ignari della loro vera identità: i matrimoni però non duravano mai molto, concludendosi il più delle volte in modo spiacevole o addirittura tragico.
Insegnavano agli uomini le tecniche di manipolazione di latte, burro, formaggio, ricotta, ma, anche, disfacevano i filati delle donne, sporcavano la biancheria, tagliavano vestiti e trecce, mescolavano la farina con il riso, annodavano le lenzuola, rubavano posate, stoviglie e animali da cortile e si diceva, facessero parlare buoi e vacche.
Era in fondo una negatività poco rilevante rispetto all’efferato costume di cibarsi di carni umane mentre tenevano banchetti e balli notturni nei cimiteri.
Di giorno indossavano lunghe gonne di seta ornate da grembiuli neri orlati di pizzo; ai piedi portavano pantofole di velluto e coprivano il capo con cuffie e fazzoletti. La notte si avvolgevano in ampi mantelli scuri e così nascoste lasciavano le contrade per recarsi nelle caverne a danzare al suono di gigli e gelsomini.
Se queste sono le caratteristiche delle Fade di Badia Calavena, diverse sono quelle di San Bortolo, un paesello separato dal primo, in linea d’aria, soltanto da due chilometri. Quest’ultime, pur mantenendo l’usanza di cibarsi di carne umana, mostravano connotati più selvatici: piccole, brutte, tarchiate, con le mani coperte di pelo e zoccoli al posto dei piedi. Diversamente dalle Fade di Badia, queste trascorrevano le giornate tra le rocce e le pietre sottoforma di rospi o serpi, aspettando la notte per agire.
Agli abitanti del luogo era vietato uscire la sera dopo il suono dell’AveMaria, perché esse cominciavano ad aggirarsi intorno alle stalle dove si tenevano i filò chiedendo: “Gh’è braghe sui scani?” cioè se ci fossero uomini. Se qualche sventurata negava loro entravano e rapivano donne e bambini.
Gli stessi montanari potevano essere catturati da queste crudeli creature. A volte venivano smembrati e una loro coscia veniva inchiodata per disprezzo sulla porta di casa o della stalla.
Anche le imprese delle Fade di San Bortolo finirono con il Concilio di Trento e, maledette dal cardinale Borromeo, si ritirarono rabbiose nelle grotte, lasciandovi nell’ingresso le impronte delle mani e dei piedi.
Le Fade del settore montuoso ad ovest della Val d’Illasi erano descritte frontalmente come ragazze di grande bellezza e leggiadria, ma dalla schiena concava, gambe e braccia setolose e piedi caprini, e tutto coperto da lunghe vesti. Degli arnesi umani usavano solamente il fuso chiedendolo spesso in prestito alle donne nei filò, ma l’accesso nelle stalle era spesso vietato dalla gelosia delle popolane. Perciò anche queste Fade prima di avvicinarsi esclamavano: “Limpe lampe, gh’è braghe so ‘l scano?” se la risposta era affermativa dovevano rimanere fuori.
Sulla bruttezza del loro corpo si racconta che un giovane osò strappare le loro vesti per mostrarne i difetti. Furibonde da tanta arroganza, smisero di regalare gomitoli di lana alle ragazze da marito e da allora mutarono il loro comportamento: presero a schiavizzare gli uomini, rapire bambini, strangolare donne. Tutto questo durò fino al Concilio di Trento, quando il Borromeo le relegò per sempre negli antri lessinici da dove potevano muoversi soltanto di notte, senza disturbare nessuno.
All’interno delle grotte vestivano una tunica di pelle di cane nero, stretta in vita da una vipera viva. Ospiti abituali delle loro abitazioni erano animali ambasciatori di morte (civette e allocchi) e altri che suscitavano paura o ribrezzo (ragni, pipistrelli, lupi). L’allocco era identificato come il guardiano degli antri abitati da Fade e Orchi, quindi se se ne vedeva uno infilarsi tra le rocce si era certi che quello era il rifugio di uno di loro.
Una curiosa attività delle Fade (ma anche delle Genti Beate e delle Anguane) era quella di stendere immensi bucati sopra un canapo fissato tra due speroni rocciosi a cavallo di una valle. A volte sostituivano il canapo con un invisibile filo emesso da un ragno gigante dagli occhi fosforescenti tenuto in spalla da un Orco: in questo modo si impediva agli uccelli di imbrattare il bucato di escrementi. Questa operazione era compiuta dalle Fade nei giorni senza la erre, mentre ragno e Orco agivano nei giorni con la erre.
Benché dopo il Concilio di Trento uscissero solo di notte, potevano mostrarsi agli uomini sotto forme maliose, seducendoli e costringendoli a lavorare nelle grotte. Le donne e i bambini che passavano davanti ai loro antri correvano pericolo di vita: le prime venivano strangolate, i secondi divorati o barattati con le streghe in cambio di unguenti. Un segno di croce bastava per sottrarsi agli agguati e farle svanire in una sulfurea fiammata.
Fade leggendarie furono: Aiza, Maiza, Aliza, Calamita, Graziosa.
L’origine delle Fade era certamente benefica, ma la diffidenza degli uomini ne mutò in negativo il comportamento. Fin quando vissero in concordia con la popolazione svelarono numerosi segreti per migliorarne il tenore di vita e alleviare la fatica, come, ad esempio, le tecniche per lavorare il latte e i suoi derivati.
Le Fade del Monte Sabbionara insegnarono alle donne come usare la fine sabbia della zona per lucidare rame e ottone, ma anche in questo caso il dubbio originò cattiverie e malignità, fino all’accusa di cibarsi di carne umana e di assassinare uomini e donne. Cosi per vendetta si misero davvero a praticare queste terribili azioni e lasciarono il mondo degli uomini per ritirarsi per sempre nelle grotte.
La descrizione fisica delle Fade è  grossomodo questa: femmine attraenti relativamente alla parte anteriore del corpo, ma dotate di schiene cave come scheletri. Eleganti nel vestire, indossavano scarpette con i tacchi sottili che lasciavano inconfondibili impronte all’ingresso dei covoli.
Frequentavano i filò ma prima verificavano l’assenza degli uomini, in caso contrario non entravano. Vivevano felici nelle grotte cantando e lavando bucati, che poi stendevano. In qualche caso si maritavano con gli uomini, ma se rimanevano incinte le compagne le isolavano. Gli aspetti più truci del carattere si  incentravano sul divorare bambini e inchiodare cosce sulle porte delle stalle. Si racconta che all’interno dei covoli di Velo, una delle loro dimore preferite, sono state rinvenute un così gran numero di scarpette di bimbo da non poterle numerare.

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